Usura sopravvenuta: la decisione delle Sezioni Unite

Cassazione Civile, SS.UU., sentenza 19/10/2017 n° 24675

La motivazione della sentenza

Il quesito di diritto sottoposto alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione – inerente l’applicabilità dei criteri designati dalla l. 108 del 1996, ai fini dell’individuazione del tasso soglia, ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore – investe, in buona sostanza, la più ampia tematica relativa alla gestione delle sopravvenienze ( in specie, sopravvenienza normativa) in materia contrattuale.

Le sopravvenienze pongono il problema della gestione del rischio da esse ingenerato e della individuazione dei possibili rimedi. Fa da sfondo il contrasto tra due principi fondamentali che presidiano i rapporti tra i privati: da un lato, il principio pacta sunt servanda, che mira a preservare l’intangibilità, quindi, la certezza e la vincolatività del contratto; dall’altro lato, il principio di autoresponsabilità in forza del quale ognuno deve risentire nella propria sfera giuridica delle conseguenze della mancata adozione delle cautele e delle regole di comune prudenza che identificano il contenuto di diligenza esigibile dal soggetto giuridico nei comportamenti adottati nella vita sociale (art. 1227 c.c.).

In particolare, in materia di usura, la gestione del rischio delle sopravvenienze è strettamente correlata alle questioni di diritto intertemporale posti dalla l. 108 del 1996. Infatti, la mancata previsione di una disciplina transitoria ha posto il problema dell’applicabilità della legge cd antiusura anche alle ipotesi di usura sopravvenuta (quindi, ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della predetta legge ovvero ai contratti stipulati successivamente ad essa i cui tassi, originariamente leciti, siano in executivis divenuti usurari per effetto del ribasso del tasso soglia).

La giurisprudenza di legittimità, in un primo momento, si è orientata in senso favorevole all’applicabilità della l. 108 anche ai contratti pendenti alla sua entrata in vigore con riferimento alle ricadute sul rapporto successive a tale data. Di talché le pronunce della Suprema Corte assumevano il seguente tenore:“La l. 108/1996 che ha modificato l’art. 644 c.p., in difetto di previsione di retroattività, non può operare rispetto ai precedenti contratti di mutuo, pur essendo di immediata applicazione nei relativi rapporti limitatamente alla regolamentazione di effetti ancora in corso” (Cass. Sez. III 02/02/2000, n. 1126).

Il legislatore, ritenendo l’applicazione giurisprudenziale corrente non fedele alla lettera della l. 108/1996, è intervenuto con la norma di interpretazione autentica – avente efficacia retroattiva – di cui all’art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, nella quale è stato chiarito che “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

La Relazione governativa di accompagnamento del menzionato decreto legge ha chiarito che l’intento del legislatore è stato quello di escludere radicalmente, non soltanto la possibilità di applicare la legge n. 108 del 1996 ai contratti conclusi prima della sua entrata in vigore, ma anche l’ammissibilità dell’ipotesi di usura sopravvenuta, concernente i contratti stipulati dopo tale data.

Esclusa l’applicabilità della l. 108 ai casi di usura cd. sopravvenuta, dunque, il giudizio di usurarietà investe esclusivamente il momento della pattuizione degli interessi (quindi, il tasso soglia vigente al momento della pattuizione degli stessi). Assume pertanto preminenza il profilo volontaristico che conduce all’affermazione della responsabilità dell’agente in base al principio di autoresponsabilità contrattuale prima citato. Rilievo alcuno è riservato, invece, al successivo momento della corresponsione degli interessi anche nelle ipotesi in cui i detti interessi siano divenuti ultra legali.

La norma di interpretazione autentica non è stata immune da critiche. Infatti, è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale la questione di legittimità avente ad oggetto la violazione degli artt. 3, 24, 47 e 77 Cost. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 29/2002 ha ritenuto costituzionalmente legittimo ovvero ragionevole la legge di interpretazione autentica ed infatti sancisce che “E’ costituzionalmente legittimo l’art. 1 comma 1 della legge 24/2001, nella parte in cui con norma di effettiva interpretazione autentica che non supera le possibilità semantiche delle disposizioni interpretate, esclude la natura usuraria degli interessi originariamente non usurari che, per effetto della caduta del tasso medio, successivamente superino il limite di legge”.

La declaratoria di legittimità costituzionale della norma di interpretazione autentica non ha tuttavia sopito il dibattito in materia di usura sopravvenuta, ancora vivo, sia in dottrina che in giurisprudenza.

A tal proposito, la sentenza delle Sezioni Unite ripercorre brevemente il contrasto sorto tra due orientamenti delle sezioni semplici della Corte di Cassazione.

Un primo orientamento, fedele alla lettura che il legislatore fornisce della l. 108, ne disconosce l’applicabilità alle ipotesi di usura sopravvenuta.

Un secondo orientamento, viceversa, ha ritenuto applicabile la legge antiusura alle pattuizioni di interessi precedenti alla sua entrata in vigore e ancora in corso.

Quest’ultimo orientamento si fonda su una vasta speculazione dottrinaria secondo cui mentre l’usura originaria è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 644 c.p. e civilmente con la gratuità del mutuo, invece, l’usura sopravvenuta assumerebbe rilevanza esclusivamente come illecito civile. Quest’ultima forma di illiceità è variamente qualificata dalla giurisprudenza in termini di nullità o inefficacia con effetti ex nunc, ma comporta, in ogni caso, la sostituzione automatica della clausola contrattuale ai sensi dell’art 1339 c.c. (secondo taluni con il tasso soglia, secondo altri con il tasso legale).

Secondo questo orientamento, ai fini del giudizio di usurarietà, non si può non riconoscere rilevanza al momento della corresponsione degli interessi (momento funzionale ed esecutivo del contratto).

Dunque, sia in dottrina che in giurisprudenza si è affermato che, anche alla luce dell’interpretazione autentica fornita dal legislatore, sarebbe irragionevole e incongruo sostenere l’obbligo del debitore di corrispondere gli interessi divenuti comunque usurari, per effetto del sopraggiunto ribasso del tasso soglia.

Un primo argomento a sostegno di tale tesi si ricava dalla sentenza n. 9405 del 2017 della Corte di Cassazione che, nell’affermare l’applicabilità del tasso soglia in sostituzione del tasso contrattuale che sia divenuto superiore ad esso, precisa che la legge di interpretazione autentica limita il proprio ambito applicativo agli art. 644 c.p. e art. 1815 comma 2 c.c. Pertanto, la legge n. 24 del 2001 non sembra escludere in via assoluta l’irrilevanza di un’usura sopravvenuta, né si pone come preclusiva della qualificazione in termini di illiceità della condotta di riscossione dei ratei divenuti usurari. Da qui l’idea che l’emanazione della legge n. 24 del 2001 non abbia l’effetto di escludere, a prescindere, l’adeguamento del tasso divenuto usurario a quello massimo consentito dalla legge.

La dottrina riconosce, altresì, rilevanza, ai fini del giudizio di usurarietà, del momento della riscossione dei ratei usurari muovendo da alcuni argomenti forniti dalla disciplina del delitto di usura dettata dal codice penale. L’art. 644 c.p. prevede che la consumazione del reato di usura – che si annovera tra i cd. delitti a “condotta frazionata” o a “consumazione prolungata” – avviene quando l’offesa raggiunge il maggiore livello di gravità, con la conseguenza che le condotte di riscossione dei ratei usurari rinnovano la consumazione del reato, procrastinando il momento di cessazione della condotta criminosa. Inoltre, l’art. 644 ter c.p., al fine di agevolare la repressione del delitto di usura prevede, expressis verbis, che “la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale”, in deroga alla norma generale dettata dall’art. 158 c.p.

La decisione

Le Sezioni Unite aderiscono al primo orientamento esposto. Infatti, il giudice è vincolato in maniera imprescindibile all’interpretazione autentica degli artt. 644 c.p. e 1815 secondo comma c.c., come modificati dalla l. n. 108/1996, imposta dall’art. 1 comma 1 d. l. n. 394/2000 che, peraltro, ha superato il vaglio di legittimità della Corte Costituzionale.

Il Supremo Consesso ritiene destituita di ogni fondamento la tesi che predica l’illiceità, talvolta definita “ortodossa”, degli interessi divenuti in executivis ultra legali che prescinde dalla normativa dettata dagli art. 644 c.p. e 1815 comma 2 c.c.

Infatti, osserva il Supremo consesso che l’art. 644 comma 3 c.p. è la sola disposizione che “contiene il divieto di farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità”. Anche l’art. 1815 c.c. nel sanzionare l’usura “presuppone una nozione di interessi usurari definita altrove, ossia, di nuovo, nella norma penale integrata da meccanismo previsto dalla l. 108”.

Non esiste, dunque, un giudizio di usurarietà che non si fondi sull’art. 644 c.p.,  la cui applicazione è ancorata alla interpretazione fornita dal legislatore con la legge n. 24 del 2001.

“Sarebbe pertanto impossibile operare la qualificazione di un tasso come usurario senza fare applicazione dell’art. 644 c.p.; ai fini dell’applicazione del quale, però, non può farsi a meno- perché così impone la norma d’interpretazione autentica- di considerare il momento in cui gli interessi sono convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

Nell’ambito del presente dibattito ha assunto, altresì, particolare rilievo un’argomentazione ulteriore che, sebbene non abbia costituito oggetto specifico di gravame, la Suprema Corte ritiene opportuno trattare per ragioni di completezza e di coerenza motivazionale (par. 3.4.2).

Nella ricerca degli strumenti di tutela di cui il debitore può disporre per ricondurre gli interessi dovuti nella misura legale, infatti, la dottrina dominante, a fronte di una giurisprudenza scettica, ha riconosciuto, specie per i rapporti di durata o per i contratti ad esecuzione differita, un generale dovere di rinegoziazione del contratto a fronte di sopravvenienze incidenti sull’equilibrio sinallagmatico che abbiano causato uno squilibrio significativo tra le prestazioni.

Il dovere di rinegoziazione promana direttamente dal principio di buona fede, declinato in senso oggettivo (o correttezza), che si specifica in obblighi comportamentali a carattere negativo (doveri di lealtà, come ad es. si riscontra negli obblighi informativi e di trasparenza ex artt. 1337 e 1338 c.c.) e positivo (doveri di salvaguardia che impongono alle parti un comportamento collaborativo, soprattutto in sede di esecuzione ex art. 1375 c.c.).

L’affermazione di un generale dovere di salvaguardare l’interesse altrui nei limiti in cui ciò non importi un apprezzabile sacrificio del proprio interesse (cd. principio di solidarietà contrattuale enunciato dal combinato disposto degli artt. 1375 c.c. e 2 Cost.) conduce a ritenere che la condotta del creditore che riscuote interessi divenuti nel corso del rapporto ultra legali non può ragionevolmente essere trattata alla stregua di un post factum non punibile. Infatti, qualora il creditore esercitasse il diritto all’interesse, il suo comportamento sarebbe contrario alla buona fede perché pretenderebbe l’esecuzione di una prestazione oggettivamente sproporzionata. Il debitore viceversa potrebbe paralizzare l’azione di adempimento degli stessi avvalendosi dell’exceptio doli generalis, attraverso cui far vale un’inefficacia ex bona fide della clausola contrattuale relativamente a quella percentuale di interessi eccedenti la soglia consentita.

Le Sezioni unite escludono che la pretesa in sé (in quanto legittima) degli interessi divenuti in executivis usurari possa determinare la violazione del canone di buona fede, concretizzandosi la detta violazione nelle particolari modalità abusive in cui si manifesti l’esercizio del diritto.

“In questo senso può allora affermarsi che, in presenza di particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell’art. 1375 c.c.”.

Con quest’ultimo passaggio motivazionale la Suprema Corte sembra porre un freno, senza tuttavia delegittimarla, alla tendenza a tratti spasmodica di ricorrere a meccanismi rimediali (in specie manutentivi), dai tratti assai incerti, desumibili dal canone generale della buona fede nonché dal dovere di solidarietà economica e sociale di cui all’art. 2 della Cost.

Conclusioni

Le prime reazioni suscitate dalla sentenza n. 24675 del 19 ottobre 2017 tra gli operatori del diritto ne delineano i tratti di una pronuncia “rivoluzionaria”, “irriverente”, “dall’esito tutt’altro che scontato”.

In questa sede, invece, si ritiene di dover rilevare come la sentenza probabilmente non avrebbe potuto condurre ad esiti differenti. Più che irriverente sembra assumere i tratti propri di una sentenza “a rime obbligate”. Infatti, l’articolato assetto normativo che vanta, tra gli altri, il privilegio di annoverare una norma di interpretazione autentica (l. n. 24/2001) che ne chiarisce la portata, sembra escludere categoricamente l’ammissibilità dell’usura cd. sopravvenuta.

Ciò però non esclude la necessità che il diritto si conformi alle esigenze di giustizia sostanziale e fornisca una risposta alle istanze solidaristiche avanzate sulla base del combinato disposto degli artt. 1375 c.c. e 2 Cost. che propugnano l’intollerabilità della riscossione di interessi che superano la soglia consentita, anche nei casi in cui l’usurarietà risulti sopravvenuta.

Rebus sic stantibus, è senz’altro auspicabile un intervento del legislatore che fornisca al debitore, vittima di usura, un bagaglio di rimedi più ricco. Non è infatti esigibile che una risposta immediata provenga dai banchi della Corte non potendo quest’ultima sostituirsi al potere legislativo.

Tuttavia, indiscussa è la portata dirimente e chiarificatrice dell’intervento delle Sezioni Unite che si prefigge di porre fine ad un dibattito ventennale. La sentenza reca con sé un grande potenziale, potendo essa sortire l’ulteriore effetto di deflazionare un contenzioso dai numeri assai elevati.

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